LVMH: A quanto pare il diavolo non veste Prada.

Il lusso oltre ogni aspettativa è al centro dell’attenzione: il gruppo LVMH è leader mondiale del suo campo.

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LVMH, la nascita:

La storia di LVMH inizia nel 1987, quando due aziende apparentemente lontane si fondono in un affare da 4 miliardi di dollari: Louis Vuitton, guidata da Henri Racamier, e Möet-Hennessy, guidata da Alain Chevalier. Poiché la compagnia vinicola è tre volte più grande di LV, è quest’ultimo a venire nominato presidente della nuova holding, scatenando il risentimento di Racamier e una lunga battaglia legale per la gestione del conglomerato. Alla fine, ad avere la meglio tra i due litiganti è un giovane imprenditore di nome Bernard Arnault.

LVMH, l’ascesa del Presidente Arnault:

Nella speranza di consolidare la propria posizione fu proprio Racamier a chiedere ad Arnault di investire in LVMH, sottovalutandone l’ambizione, in breve tempo infatti Arnault diventa azionista di maggioranza, costringendo sia Racamier sia Chevalier a ritirarsi.

Nel 1989 viene eletto presidente del gruppo, ruolo che ricopre ancora oggi. Una volta al comando, la prima mossa del businessman è sostituire il team esistente con uomini di sua fiducia, mentre trascorre i decenni seguenti a inglobare nel gruppo nuovi luxury brand. Solo negli anni ’90 acquista, fra gli altri: Berluti, Kenzo, Guerlain, Celine, Loewe, Marc Jacobs, Sephora, Tag Heue. Questa tecnica di acquisire diversi brand, licenziare il team dirigente per sostituirlo con uomini di fiducia, o nel suo caso con uno dei cinque figli, gli fece guadagnare l’appellativo di wolf in cashmere. diventando uno standard nel mondo degli affari molto riprodotto. in primis da Kering che proprio in questi giorni pare interessato a Moncler.

LVMH, le strategie:

Il lupo del cashmere ha usato lo spettacolo delle sfilate di moda per vendere articoli ad alto margine di profitto come profumi o borse ed è stato uno dei primi uomini d’affari d’oltreoceano ad investire in Cina all’inizio delle riforme dell’economia di mercato di Deng Xiaoping, aprendo un negozio Louis Vuitton a Pechino nel 1992. Ad oggi, in Asia LVMH ha più negozi che nel resto del mondo: 1289 contro i 1153 europei (esclusa la Francia) e 783 negli Stati Uniti.

In un’intervista il CEO ha svelato che parte del successo di LVMH “è questa dualità, l’atemporalità e la massima modernità.” Seguendo questa filosofia, negli ultimi anni, LVMH ha aggiunto, tra gli altri, al suo portfolio: Fendi, Bulgari, l’intera Christian Dior, J.W. Anderson, Rimowa, Stella McCartney e Fenty come parte di una joint venture con la pop star Rihanna.

Facendo salire le proprietà del conglomerato a quota 75 e generando un fatturato che nel solo 2018 ha superato il record di 51 miliardi di dollari. Negli ultimi cinque anni, si è potuto permettere di incrementare la spesa per pubblicità di due miliardi di euro. Secondo Statista, la piattaforma globale di dati aziendali, è passato dai 3,310 spesi nel 2013 ai 5,52 nel 2018.

Nonostante il successo planetario, l’impero francese ha già altri piani per il futuro. Il primo è espandere e consolidare la propria presenza negli Stati Uniti, come testimonia l’affair con Tiffany e l’inaugurazione di una nuova sede produttiva di LV nella Contea di Johnson in Texas, dopo settimane di trattative, a fine novembre LVMH ha acquistato l’azienda per 16,2 miliardi di dollari. L’operazione, la più grande nella sua storia, consentirà al gruppo francese di accrescere la propria presenza negli USA e di rafforzare la posizione nell’alta gioielleria.

LVMH, l’oracolo del mondo del lusso:

Essere il numero uno”.

Ecco la prima aspirazione del colosso francese.
Bernard Arnault si rivela in un’intervista al Times.
Primeggiare è sempre stato il suo obiettivo, diventando un’ispirazione per tutti coloro che si cimentano nel mondo degli investimenti.

A cura di Francesca Maria Postiglione

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