Bugie “verdi”

Cos’è il greenwashing e come noi consumatori possiamo difenderci

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Se, da un lato, un numero sempre maggiore di aziende sta incrementando le iniziative eco-friendly e sta modificando le pratiche di gestione in chiave sostenibile, dall’altro lato, non mancano altrettante che ricorrono al greewashing come strategia di marketing per apparire sostenitrici dell’ambiente e attirare a sé i  consumatori più sensibili al tema della sostenibilità.

Greenwashing, come nasce e cos’è:

Si parla di greenwashing per indicare le pratiche adottate da quelle aziende o organizzazioni interessate a costruire una propria immagine ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale. A parlarne per la prima volta fu l’ambientalista statunitense Jay Westerveld che lo utilizzò nel 1986 riferendosi all’azione delle catene alberghiere che facevano leva sull’impatto ambientale del lavaggio della biancheria per invitare gli utenti a ridurre il consumo di asciugamani, celando in realtà motivazioni di risparmio economico.

Oggi, in Italia, il greenwashing è considerato pubblicità ingannevole ed è controllato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

Greenwashing, come avviene:

Le azioni di greenwashing si attuano prevalentemente attraverso attività di comunicazione, con dichiarazioni ingannevoli e vaghe, che si focalizzano su un unico dettaglio per nascondere il resto. Ecco le forme più note:

  • dichiarare l’ecosostenibilità di un prodotto basandosi solo su alcuni attributi e spostando l’attenzione da ciò che ha maggiore impatto ambientale;
  • un’affermazione ambientale non sostenuta da informazioni di supporto facilmente accessibili o da un’affidabile certificazione di terze parti;
  • fornire indicazioni sul prodotto tanto generiche che il loro significato può venire frainteso dai consumatori;
  • inserire etichette false o presentare un prodotto con parole o certificazioni contraffatte;
  • inserire affermazioni ambientali anche veritiere ma non importanti o utili per i consumatori;
  • fare asserzioni ambientali che sono semplicemente false.

Greenwashing, due celebri casi italiani:

Nel gennaio 2010, San Benedetto è stata condannata a pagare una multa di 70.000 euro per aver realizzato campagne pubblicitarie, presentando la propria bottiglia di plastica come “amica dell’ambiente”. La comunicazione di San Benedetto insisteva sull’eco-sostenibilità delle nuove bottiglie “prodotte con meno plastica, meno energia e più amore per l’ambiente” e sui contenitori classificati come eco friendly che avrebbero permesso di “ridurre almeno del 30% la quantità di plastica impiegata e quindi di contenere il consumo di energia”. In realtà, San Benedetto non ha mai effettuato studi per dimostrare la veridicità delle affermazioni ambientali e, secondo l’Antitrust, il risparmio energetico e la riduzione di emissioni di anidride carbonica grazie alle nuove bottiglie non è stata mai calcolato effettivamente.

Nel dicembre 2012 Sant’Anna è stata multata per l’eco-bottiglia “BioBottle” perché nella pubblicità erano riportati pregi ambientali molto superiori a quelli reali. A dirlo è stata l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha multato l’azienda per pratica commerciale scorretta e l’ha costretta a pagare una sanzione di 30.000 euro. Secondo la pubblicità, l’acquisto dell’acqua Sant’Anna garantiva un consumo responsabile, grazie ai pregi ambientali della nuova bottiglia biodegradabile in PlaINGEO®. Secondo il testo diffuso, 650 milioni di bottiglie Sant’Anna BioBottle avrebbero permesso un risparmio di 176.800 barili di petrolio (utili a riscaldare per un mese una città di 520.000 abitanti) e ridotto le emissioni di CO2 pari a un’auto che compia il giro del mondo per 30.082 volte in un anno. In realtà – secondo quanto riportato dall’antitrust – il dato di ‘650 milioni di bottiglie’ citato negli annunci pubblicitari fa riferimento all’intera produzione annua di bottiglie Sant’Anna, fabbricate sia in plastica (Pet) che in PlaINGEO® (BiBottle).

Greenwashing, come i consumatori possono intervenire:

Difendersi dal greenwashing è possibile. In tal senso, è fondamentale che si abbia spirito critico e ci si informi adeguatamente. Ciascuno di noi, nel momento in cui effettua un acquisto, sta dando un “voto” ad un’azienda e finanzia le pratiche e i processi che la stessa realizza. Per questa ragione, è indispensabile diventare un consumatore consapevole per evitare di cadere in inganni e premiare quelle aziende che hanno davvero a cuore la nostra salute e il nostro Pianeta. Ecco qualche consiglio utile:

  1. Controllare le certificazioni ambientali e informarsi sui loro criteri di assegnazione oltre, ovviamente, a verificare la veridicità di queste certificazioni. Ci sono, ad esempio gli standard EMAS, uno standard europeo che prevede la pubblicazione di una “dichiarazione ambientale” che tenga conto di vari indicatori, e la serie l’ISO 140000 che fornisce strumenti manageriali per le organizzazioni che vogliano porre sotto controllo i propri aspetti ed impatti ambientali.
  2. Informarsi sulla reale sostenibilità dell’aziende cercando informazioni nei Report di sostebilità o, in assenza, consultare la Relazione sulla gestione.
  3. Non cadere nella trappola dei colori e degli spot: se le informazioni sono vaghe oppure troppo tecniche, probabilmente, nascondono qualcosa.

A cura di Alessandro Bianco.

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