Netflix e la teoria del lavoro

Come Wilmot Reed Hastings Jr, il CEO di Netflix, si è unito alla rivoluzione della settimana corta che potrebbe modificare il modo di fare azienda

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L’unica regola è che non ci sono regole

Questo l’accattivante e provocatorio titolo con il quale il libro di Wilmot Reed Hastings Jr., imprenditore e co-fondatore del colosso dello streaming Netflix, si presenta ad una schiera piuttosto nutrita di lettori e va a sintetizzare quella che è un’ideologia potenzialmente rivoluzionaria per la frontiera del lavoro.

Otto ore al giorno. Cinque giorni su sette. Straordinari retribuiti. Tredici mensilità. Undici mesi l’anno. Questo è un generico schema lavorativo di un qualsiasi dipendente legato ad una delle infinite realtà aziendali del mondo moderno. Ma Reed Hastings non è un “qualsiasi” CEO, così come la Big N non è una “qualsiasi realtà” lavorativa.

Netflix, sin da quando il suo progetto mirato alla conquista del settore streaming ha cominciato a prendere piede e a conquistare fette di mercato sempre più ampie, è andata incontro ad una progressiva evoluzione che ha coinvolto ogni singolo aspetto dell’intero ecosistema aziendale e che ha portato la società fondata da Hastings e Randolph ad adottare una politica per la gestione degli orari di lavoro a dir poco incredibile: lo stesso CEO ha, infatti, dichiarato, all’interno del suo libro, che

non c’è un numero prestabilito di ore di lavoro in Netflix, così come è vero che sono i dipendenti a decidere quando andare in ferie e per quanto tempo restarci

Sembrerebbe il principio di una favola, eppure è così: una delle teste di serie dell’intrattenimento digitale concede ai propri impiegati di gestire il tempo da destinare all’attività volta al costante miglioramento e alla crescita di Netflix.

Hastings, però, non si è semplicemente limitato a lasciare che i milioni di lettori dedicatisi al suo scritto fossero consumati dall’invidia per un lavoro da sogno.

Il founder della compagine statunitense si è lanciato, infatti, nella spiegazione del perché si è optato per una soluzione che, ai più superficiali, potrebbe apparire controproducente, se non addirittura folle.

L’approccio di Hastings ai processi volti al raggiungimento di un risultato non è rigido o legato a semplici schemi accademici, bensì è innovativo ed estremamente flessibile.

Il concetto di produttività non è legato da un rapporto di proporzionalità al tempo che un individuo trascorre lavorando per la propria azienda, ma alla qualità dell’attività da esso svolta in un determinato periodo. E’ inutile lavorare per una quantità sfiancante di ore se poi il risultato è mediocre; tanto vale gestire al meglio ogni singolo minuto ed incanalare idee funzionali ed energie per una finalizzazione efficiente. Tutto questo dev’essere necessariamente sostenuto dal fatto che il team che va ad operare in un determinato settore sia composto da quelli che Hastings definisce, in maniera piuttosto diretta, i “finest”: i “migliori” nel proprio ambito, coloro i quali sono talmente portati per la propria attività che, se si da loro la possibilità di gestire autonomamente le attività relative al proprio campo, riusciranno a portare a casa il miglior risultato possibile.

E se ottenere il meglio significa staccare la spina per quattro, otto od undici mesi (con la prospettiva che, in quelli restanti, i risultati siano impareggiabili dai competitors), Netflix è disposta a fare un passo indietro davanti alle necessità dei propri professionisti.

Hastings si è soffermato anche sul fatto che un’azienda per potersi permettere le migliori prestazioni che i migliori profili sul mercato offrono, è quasi moralmente obbligatorio fare l’offerta più alta per fugare ogni dubbio riguardante la fedeltà dei propri enfant prodige. L’imprenditore si è, inoltre, soffermato su come sia quasi deleterio per l’azienda introdurre obiettivi legati agli straordinari, dal momento che questi potrebbero ingolosire i dipendenti più ambiziosi, che potrebbero, a loro volta, sacrificare la qualità del proprio operato al fine di accumulare ore su ore che andrebbero ad arricchire il loro salario alla fine del mese.

Hastings è convinto che il suo vero lavoro debba essere, in una prospettiva ideale, limitato alla supervisione e, al massimo, all’ispirazione delle attività dei professionisti che gli gravitano intorno. La sua dev’essere

Il CEO di Netflix ha voluto specificare, tra le pagine della sua opera, che, seppur sia completamente fedele all’ideologia che lui stesso si è occupato di esporre, è necessario fare una differenziazione tra compiti “operativi” e “creativi”: i primi sono quelli che lui lega ad operazioni più prettamente pratiche e che richiedono una certa regolarità (con conseguente impiego costante) nello svolgimento, mentre i secondi vedono la loro migliore esplicazione nei risultati qualitativamente insuperabili che la società di Randolph e squadra di prepone di raggiungere attraverso questa sua innovativa teoria.

L’iniziativa di Netflix potrebbe rimanere una semplice e singolare politica interna, ma potrebbe anche essere il primo squillo di un’epocale rivoluzione che cambierebbe per sempre il concetto stesso di lavoro, in un secolo in cui questo è ancora troppo legato ai processi di parcellizzazione del periodo neoindustriale.

A cura di Mario De Vito

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