Fare sesso non è un reato, il revenge porn sì.

Quando a indignare non è la storia in sé, ma la polemica sterile che nasce da essa.

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Ho avuto i social disattivati per una settimana. Senza raccontarvi di questa tragicomica quanto surreale storia di come ho perso e ritrovato il mio account Instagram – magari ci dedicheremo al perché Facebook non ha un Servizio Clienti in un’altra rubrica chiamata “Bestemmie” – vi dirò subito i lati positivi di questa mia “assenza” dai social: il non dover leggere le castronerie che molta gente scrive su essi. Destino ha voluto però, che proprio quando i miei account sono tornati a funzionare, mi imbattessi in una notizia riguardante un caso giuridico del 2018, ma venuto a conoscenza dell’opinione pubblica solo oggi poiché il processo è in atto proprio adesso: quello della maestra di Torino, licenziata perché erano stati diffusi (senza il suo consenso) video intimi che lei aveva (consensualmente) girato con il suo fidanzato dei tempi.

Questa è una storia marcia fino al midollo, in quanto nasce da un ricatto pregno di invidia e veleno. Ad entrare in gioco non ci sono soltanto i soliti attori ai quali, ahimè, siamo abituati in questo tipo di storie (ex-fidanzati, amici degli ex-fidanzati, pischelletti dei gruppi Telegram), ma anche una mamma di un alunno, accusata di aver diffuso i video e averli anche inviati alla dirigente scolastica in modo da causare il licenziamento della maestra. Il movente? Gelosia, perché aveva trovato questi video sul cellulare del marito, che a sua volta aveva li aveva ricevuti dall’ex fidanzato della maestra tramite il gruppo What’s App del calcetto che al mercato mia madre comprò.
Torino, ma sembra Twin Peaks.

Ma non vi racconterò di nuovo tutta la storia, poiché è ormai sulla bacheca di chiunque e la sapete già. Come sapete benissimo anche di tutti i commenti che questa “notizia” ha trascinato dietro di sé: tra chi mostra piena solidarietà alla maestra, chi si mantiene in una via di mezzo tra “lui ha sbagliato ma…” e chi invece sostiene lei sia una lurida peccatrice che, udite. udite, è in età fertile e ha una vita sessuale attiva (shock).

Ora, dunque, quando vi dicevo che il lato positivo dei social è non leggere certe cose, mi riferivo proprio a quest’ultima cosa. Sono una piena e fiera sostenitrice della libertà di parola e di espressione (altrimenti non starei scrivendo questo articolo). Ma ci sono delle situazioni, dove davvero c’è poco da dire e da commentare, non perché non si possa avere un’opinione in merito: come ho detto, questa è una cosa sacrosanta. Ma perché si tende ad alzare polveroni per cose e questioni che sono in realtà aria fritta. E in questa frittata di polvere, in cui ognuno dice la sua, è il caos. (Che poi alcuni scrivano cose che mi fanno venire i brividi addosso – sia per la sintassi che per il pensiero che c’è dietro – è un altro paio di maniche).

Quando prima ho parlato di questo accadimento, mi sono riferita alla mamma specificando il fatto che essa fosse un’accusata.
Buongiorno: il punto chiave di tutta questa vicenda sta lì. La mamma che ha diffuso i video e li ha mostrati alla dirigente scolastica è accusata, non la maestra. Così come sono accusati la dirigente stessa che l’ha licenziata e il covo di omuncoli della fantomatica chat del calcetto; così come era accusato anche l’ex fidanzato della vittima, che (SPOILER) è stato condannato a un risarcimento monetario e lavori socialmente utili.


Perché tra tutti questi commenti e cose che ho letto, ho percepito una cosa che pare essere sfuggita ai più: fare sesso come si vuole, quando si vuole, con chi si vuole, con i riflettori e le telecamere puntate o al buio sotto le coperte stringendosi il rosario, non è un reato, ma pura normalità e natura. Ognuno può vivere la sua sessualità come vuole, ovviamente senza che ciò leda agli altri. In questo caso, lei non ha commesso alcun reato, non avendo fatto del male a nessuno. Ma chi l’ha messa alla gogna e chi l’ha licenziata sì.


Senza elencare tutti gli articoli del Codice Civile che parlano di licenziamento senza giusta causa (se no diventa un esame di Diritto del Lavoro e la vostra lettura finisce qui), senza rispolverare il Bocchini-Quadri che ci ricorda dei diritti alla privacy e alla riservatezza (vedi: dirigente scolastica che dopo che ti licenzia, dice anche a tutti il motivo), senza ricordarvi che esiste anche il reato per diffamazione nel nostro Codice Penale, vi ricordo – ed è molto importante che ce lo ricordiamo sempre, perché si è lottato tanto perché ciò avvenisse, sia pur con tante debolezze in questa nuova legge – che il “revenge porn” è divenuto ormai un reato penale, punibile da 1 a 6 anni di reclusione + multa da 5.000 a 15.000 euro.

Dunque. Io capisco che tutti possano avere una loro idea su cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa è bello e cosa è brutto, cosa è di cattivo gusto e cosa no. Posso anche capire che ci sia gente con la mentalità rimasta ferma al Rione dei libri di Elena Ferrante. O che ci siano persone con l’empatia di un sasso: alla fine tutto sta alla sensibilità e intelligenza di ognuno. Ma perché parlare e sentire il bisogno di dire qualcosa, quando non ci sta molto da dire se non che una persona ha subito un reato e il Tribunale ha lavorato, sta lavorando e continuerà a lavorare perché giustizia sia fatta? Abbiamo la fortuna di vivere in un Paese dove la nostra Costituzione tutela la nostra persona sempre, dove vi è certezza del diritto e nessuno può mandarti in prigione perché così mi va. Certo, si dovrebbe lavorare di più sulla certezza della pena, sulla velocità della giustizia e sulla qualità delle valutazioni, ma non sputiamo su una delle poche cose buone che abbiamo.
La Legge è una sola, il resto sono chiacchiere da bar. O da gruppo Whatsapp del calcetto.

Eppure, nei fatti che più di due anni fa hanno portato al licenziamento di un’insegnante d’asilo in seguito alla diffusione di suoi video e foto di nudo da parte dell’ex prima e da altri poi, sembra tutto il contrario.

Tra l’altro, sembra anche che nel parlarne e nel dire ognuno la sua, ci si dimentichi che dietro una notizia, un fatto di cronaca, ci sia pur sempre una persona, con la propria vita e i propri interessi, paure, sogni e pensieri. Dire cose a sproposito, soprattutto quando non ci sta molto (se non niente) da dire, è deleterio e irrispettoso nei confronti di quest’ultima. Non serve essere femministi per capire certe cose (io non mi considero tale), serve soltanto essere persone dotate di tatto e umanità.

E questa storia mi fa fortemente arrabbiare, come essere umano, ma soprattutto come donna.
Mi viene da chiedermi: sono io libera di poter vivere il sesso con il mio ragazzo come voglio, o dovrò sempre guardarmi le spalle, che se qualcuno mi tradisce, nonostante io sia nella ragione, tutti si scaglieranno contro di me? Siamo noi donne realmente tutelate – non solo giuridicamente, ma anche socialmente – in questa frenetica società, in questo mondo così grande e vasto che dinanzi a queste situazioni diventa piccolissimo, si riduce a uno sputo di quartiere o di viale dove l’unica cosa che puoi sentire è l’eco dei chiacchiericci della gente? Ci sarà mai una svolta, un momento in cui impareremo tutti la preziosità del potere della comprensione e dell’empatia, dove preferiremo andare a fare due tiri al pallone piuttosto che giudicare e schernire qualcun altro dietro allo schermo del telefono?

Non so, Rick.

A cura di Sara Coratella

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