Usa all’attacco con la tassazione minima globale

La proposta americana contro elusione e paradisi fiscali

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Tassazione minima globale, la proposta:

Il ministro del tesoro (ed ex presidente della Fed) Janet Yellen sta portando avanti trattative con più di 140 controparti tramite l’Organizzazione per la Cooperazione e Sviluppo Economico (OCSE), dove si discute in merito all’inserimento di una tassazione minima unica alle grandi imprese, indipendentemente dal Paese in cui operano. Le maggiori economie sembrano sostenere questa proposta, che permetterebbe di evitare la delocalizzazione delle grandi società in paradisi fiscali, cioè in paesi che applicano aliquote tra il 5 e il 10% o, talvolta, pari a zero.

Tassazione minima globale, perché proprio ora e cosa comporterebbe:

L’OCSE negozia da anni per la razionalizzazione mondiale della tassazione delle multinazionali (stimando che le entrate globali aumenterebbero di 240 miliardi di dollari l’anno), ma Washington finora si è opposta a tale manovra. Tuttavia, recentemente, pare che qualcosa si stia smuovendo: la scorsa settimana, Janet Yellen si è pronunciata a favore di un’imposta minima globale del 21% sui redditi esteri delle imprese. Oltre al desiderio di risollevarsi dalla più grande crisi economica degli ultimi novant’anni, c’è un’altra esigenza per l’amministrazione statunitense alla base di questo cambio di rotta: coprire con le trattenute fiscali l’investimento in infrastrutture, tecnologie ed energie rinnovabili del presidente Joe Biden.
Il capo di Stato americano per finanziare questo ambizioso piano da 2250 miliardi di dollari (il più grande dal Dopoguerra) intende inasprire le tasse pagate dalle imprese negli States dal 21% al 28% dei profitti. La preoccupazione maggiore dell’amministrazione americana è che questo aumento scateni l’esodo delle aziende nazionali in paesi a bassa tassazione (cosiddetto dumping fiscale), fenomeno che sarebbe quantomeno ridotto se la proposta di Janet Yellen andasse in porto.

Tassa minima globale, le reazioni:

Come è intuibile, non tutte le reazioni sono state positive. L’ex presidente degli Usa Donald Trump, che al contrario con la sua riforma nel 2017 ha ridimensionato la corporate rate dal 35% al 21%, deteneva l’approvazione dei liberisti e di Wall Street, che per ora prosegue senza troppi timori (forse consapevole che il disegno di Yellen non metterà d’accordo molte economie). Difatti la proposta dovrà scontrarsi prima di tutto con i paesi OCSE europei il cui PIL dipende in gran parte dal settore tributario: nazioni come il Lussemburgo, il Belgio, l’Irlanda e soprattutto l’Olanda (che percepisce ogni anno 200 miliardi di dollari di profitti altrui) puntano a continuare ad attrarre aziende e capitali dall’estero in cambio di una tassazione estremamente ridotta. Il centro di ricerca americano Tax Foundation ha calcolato che, in un totale di 177 paesi, tra il 1980 e l’anno scorso il livello medio delle tassazioni societarie è sceso dal 46,5% al 26%. Il G20 avrà sicuramente da discutere in merito e, mai come in questo momento, le reazioni sono favorevoli a raggiungere un accordo che possa fermare la corsa al ribasso fiscale.

A cura di Roberta Ioffredo.

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